Lo strano caso del gadget politico

Il gadget – per quanto “articolo materialistico” – custodisce innato il dono mistico della perfezione. Un’iperbole? Non proprio, perché pur essendo un accessorio “superfluo”, il gadget ha il potere bipartisan di soddisfare lo spirito oltre che l’esigenza.

Tutte le penne scrivono, ma le penne-gadget hanno quel quid che fa la differenza. E in un mercato che si muove secondo le dinamiche della globalizzazione e delle produzioni industriali “copia & incolla”, avere qualcosa di esclusivo e di personalizzabile, è un valore aggiunto che – almeno sul piano dell’immagine – garantisce risultati importanti.

Il gadget può avere una grafica che stimola bei ricordi, può veicolare un messaggio promozionale o rimarcare una distinzione, può sfoggiare una cromìa che lo rende unico, magari anche per la bruttezza. Qualunque sia il suo ambito, la mission del gadget è – sempre e comunque – quella di lasciare il segno: un segno che ha il potenziale di andare oltre il suo compito.

Non a caso, esiste anche un mercato di collezionisti disposti a sborsare cifre anche esorbitanti pur di assicurarsi un gadget che, in un modo o nell’altro, ha fatto storia.
In ambito politico, dove la comunicazione non è un optional, rimanere impressi nella mente dell’elettore richiede abilità e tecnica. E’ talmente ripetuta e stucchevole la comunicazione durante le campagne elettorali che non ci si deve sorprendere se il guerrilla marketing così definito dal pubblicitario americano Jay Conrad Levinson – rappresenta oggi una sorta di “testo sacro” per le segreterie di partito.
Così, nel bailamme elettorale – dove l’obiettivo è emergere rispetto alla concorrenza – anche il gadget è diventato parte integrante dell’arsenale politico, assumendo i colori dei partiti, i nomi dei candidati e, talvolta, le provocazioni verso gli avversari.

Una delle regole auree, in questo caso, è associare il gadget ad un articolo di largo consumo. Molto gettonato, in Italia, è il vino con l’etichetta del candidato, un binomio che piace perché il vino evoca salute, affidabilità ed esperienza.

Oppure – per i teorici della tecniche subliminali – va per la maggiore il cioccolatino avvolto dalla “cartina elettorale”, con la speranza che, gustando una dolce prelibatezza, l’inconscio impari ad associare quel momento di godimento gustativo al nome del candidato.

C’è poi il gadget strategico, quello che “obbliga” il suo possessore a guardarlo almeno una volta al giorno. E’ il caso del calendario personalizzato o dell’agenda di lavoro, articoli che richiedono una consultazione pressoché quotidiana.

Quindi il gadget ludico, come il mini flipper della Democrazia cristiana che con un po’ di fortuna potrete ancora trovare su e-bay: se le palline stanno al centro, al riparo dello scudo crociato, ci si salva dalle derive dittatoriali di destra e sinistra, dove è meglio non far rotolare le biglie. Altri tempi, stesse esigenze: associare un simbolo, un messaggio, ad un prodotto ludico, piacevole.

gadget politico

Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali del 2008, le prime di Obama, sono scolpite nella memoria collettiva con il volto in rosso e blu del futuro presidente stampato su gadget. Felpe, magliette, spille, penne e soprattutto chiavi usb perché il gadget dev’essere sempre al passo coi tempi.

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E se fino a ieri il gadget si donava ora c’é anche chi lo subisce!

Fu il caso del candidato alla Casa Bianca John McCain che trovò per terra, lungo le strade di Washington, finte feci di cane con sopra una bandierina col suo nome e uno dei titoli del suo programma elettorale. L’idea, benché non elegantissima, divenne un caso mediatico e oggi quelle “pupù elettorali” sono vendute su ebay come vere reliquie.maverickrecord

Questi sono i gadget! una soluzione che dà un valore aggiunto agli strumenti di uso quotidiano. Coccarde, matite e portachiavi rappresentano gli albori del fenomeno, da sfoggiare e usare per divulgare un messaggio – politico o promozionale – durante la quotidianità.

Con il tempo è emersa anche la scelta di associare il proprio logo ad oggetti meno frequenti, ma dal messaggio più positivo: come il relax che può stimolare un cavatappi, fino a spingersi ai preservativi. Anche quest’ultima provocazione è made in Usa.

Di nostrano abbiamo la molletta del Pd con pay off “Ci tengo”, un gioco di parole facilmente memorizzabile, distribuito in occasione delle primarie del 2009 e le celebri felpe della Lega nord indossate da Salvini che però, a sua insaputa forse, sono made in Bangladesh.

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La nostalgia poi è canaglia e in Romagna la città di Predappio commercia gadget del Ventennio per un volume di affari che nemmeno il David di Michelangelo riesce a garantire.

Anche in campagna elettorale dunque se lo dici con il gadget é più facile!

 

 

 

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