Mascherine riutilizzabili: la tutela della nostra salute può essere ecosostenibile?

Il ritorno tra i banchi di milioni di studenti in tutto il Paese ha riacceso il dibattito sull’efficacia delle diverse tipologie di mascherine e sul loro impatto ambientale. Se fin da subito si è parlato principalmente di mascherine chirurgiche e FFP2 con o senza filtro, con il progredire della situazione di emergenza si sono diffuse in misura sempre crescente le mascherine riutilizzabili in tessuto, anche note come mascherine di comunità. Queste possono essere infatti altrettanto efficaci nel contrastare la diffusione del virus Sars-Cov-2, ma il proliferare di modelli homemade “casalinghi”, realizzati con i materiali più disparati, ha portato a percepirle come un surrogato inefficace rispetto ai dispositivi di protezione usa e getta, come dimostrato dalla disposizione (già rettificata) del Comitato tecnico scientifico che consentiva esclusivamente l’utilizzo di mascherine chirurgiche monouso negli istituti scolastici. In realtà, quelle riutilizzabili non solo sono utili per la tutela della salute collettiva, ma sono anche particolarmente funzionali per la tutela dell’ambiente. Ma quali sono i criteri che devono rispettare per garantire un’adeguata protezione? E in che misura sono in grado di mitigare l’impatto ambientale causato dalla pandemia? Procediamo con ordine.

La scuola come cantiere civico

In vista della riapertura delle scuole, il 2 settembre il CTS ha disposto l’utilizzo esclusivo di mascherine chirurgiche per tutti gli studenti che si apprestavano a rientrare. Cosa vuol dire in termini numerici? La scelta della soluzione monouso per le scuole si tradurrebbe in una dotazione giornaliera di 11 milioni di mascherine. E in termini di impatto ambientale? La Commissione Ecomafie ha fornito il dato allarmante di 44 tonnellate di rifiuti al giorno da smaltire tramite incenerimento. Non stupisce quindi che siano bastati pochi giorni affinché il Cts facesse un passo indietro ammettendo anche l’utilizzo delle mascherine riutilizzabili, considerato anche il sostegno espresso da tempo a favore di questa soluzione dal Ministero dell’Ambiente e la sua certificazione da parte del Ministero della Salute. Il ricorso a mascherine di comunità certificate è in grado di ridurre drasticamente il quantitativo di usa e getta che circola nel Paese, garantendo comunque la tutela della salute. Come sottolineato da Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, “per far questo sarà fondamentale porre grande attenzione anche all’insegnamento e alla diffusione di modalità di comportamento corrette, a partire dalle modalità di utilizzo e lavaggio delle mascherine, seguendo le indicazioni dell’ente certificatore e del produttore. Inoltre, chiediamo di privilegiare le produzioni nazionali e di qualità per dare un giusto riconoscimento alle aziende italiane che hanno riconvertito alcune loro linee produttive. La riapertura delle scuole è il più grande cantiere civico che il nostro paese si trova ad affrontare e la prevenzione la faranno gli strumenti ma anche la consapevolezza dei giusti comportamenti da assumere per garantire la prevenzione dal virus”.

Mascherine riutilizzabili? Sì, ma con le giuste caratteristiche

Che differenza c’è, quindi, tra mascherine chirurgiche e riutilizzabili? Le prime sono sviluppate per essere utilizzate in ambiente sanitario e hanno caratteristiche di filtraggio normate UNI. Le mascherine di comunità hanno invece lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni (come previsto dall’articolo 16 comma 2 del DL del 17 marzo 2020). Non devono essere infatti considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del covid-19.
Il presidente dell’Istituto superiore di sanità (ISS), Silvio Brusaferro, lo dice in audizione alla Commissione Ecomafie “le mascherine chirurgiche sono efficaci due, massimo sei ore” mentre “per quelle di comunità, in relazione al tipo materiale, può essere valutato un loro eventuale riutilizzo”. Sottolinea Brusaferro “le chirurgiche non possono avere standard meno stringenti”, mentre quelle riutilizzabili “non hanno particolari caratteristiche e standard di filtraggio, ma sono sostanzialmente strumenti barriera che possono essere usati in ambito comunitario”. Conclude il presidente ISS “il tema va promosso per ridurre il carico, la quantità di materiale che genera rifiuto, ma va fatto con un’attenzione che preveda l’uso di materiali riciclabili, prima, e materiali che possano essere ricondizionati”.
Le mascherine riutilizzabili rappresentano quindi una scelta concreta e lungimirante, anche quando si parla di gadget aziendali personalizzati, ma per poter essere considerate un efficace strumento di protezione, devono comunque rispettare una serie di criteri. Devono essere realizzate in materiali multistrato né tossici né allergizzanti né infiammabili, come il cotone e il policotone ed essere lavate quotidianamente, resistendo al lavaggio a 60 gradi. Devono garantire un’alta capacità di filtraggio (a partire dal 70%) ed essere riutilizzate per un numero di lavaggi consentito indicato dal produttore.

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