Sono numerose le invenzioni di genio militare, passate dal mercato degli eserciti a quello di massa. Uno dei più diffusi e noti esempi è il forno microonde, il cui principio fu scoperto durante ricerche sui radar.
I soldati sono stati precursori nella moda, anche per uno degli emblemi dell’eleganza: la cravatta. Accessorio d’originario uso prettamente maschile, che deve il suo nome alla Hrvatska, endonimo di Croazia, i cui mercenari del ‘600, assoldati da Luigi XIII in Francia, esportarono nella corte del sovrano, l’abitudine di legare al collo un fazzoletto colorato. I soldati lo facevano per proteggersi dalla polvere sollevata dai carri che precedevano la colonna militare, ma Luigi XIII colse invece il gusto di quell’ornamento, trasformandolo in quell’accessorio che sarebbe diventato simbolo dell’eleganza maschile.
La cravatta è tratto distintivo per eccellenza, uno dei pochi gadget personalizzati in grado di soddisfare le esigenze di rappresentanza più esclusiva. Hanno carattere e ricercatezza anche i nomi degli stili, come Regimental, o i tessuti in cui sono declinate le diverse variabili: Galles, Jaquard… tutta seta, nel nostro caso Piacenza.
Come ogni eccellenza, anche l’uso pratico della cravatta non è mai banale. Il nodo è uno dei “loghi” che usiamo per rappresentare la nostra attenzione a certi dettagli. Uno può essere elegante, ma il portamento e lo stile nascono dalla cura prestata a questi aspetti, e non è dunque un caso se esistono circa cento modi per incrociare quei due lembi di tessuto. La cravatta è forse l’accessorio più inutile dell’out fit maschile, ed è dunque solo questione di gusto se resta tratto distintivo dell’eleganza.
In Italia la tradizione della cravatta ha eccelsi rappresentanti: dalla produzione Marinella, alle parole di Domenico Rea, scrittore che la definì “un principio di ordine morale”. Cravatta che ha fatto discutere anche nelle più alte stanze della politica nostrana. Obbligatoria per entrare a Palazzo Madama, sede del Senato, e ai relativi uffici di rappresentanza, contro l’uso della Cravatta, quasi venti anni fa, si lanciò il senatore Francesco Enrico Speroni. Iniziò indossando provocatoriamente la versione texana, quella con lacci di cuoio stretti da un fermo metallico, fino a promuovere richieste ufficiali all’Ufficio di presidenza del Senato e ai questori, per avviare un cambio di tradizione e regolamento. Speroni, in precedenza ministro delle Riforme istituzionali, fu bocciato nella sua richiesta, e decise così di presentarsi sistematicamente a Palazzo Madama con cravatte dalle stampe più trash possibili.
Ancora politica e cravatte, ma questa volta c’è una donna. Livia Turco, nel 2007 ministro della Salute, dispose un provvedimento che esonerava i dipendenti degli uffici pubblici dall’indossare la cravatta durante i picchi di calore estivi. “Toglierla – riferiva la nota stampa ministeriale –permetteva un immediato abbassamento della temperatura corporea valutabile tra i 2 e i 3 gradi centigradi, con beneficio dell’organismo e con conseguente minore necessità di refrigerio permettendo un più oculato uso del condizionamento artificiale dell’aria a tutto vantaggio del risparmio energetico e della tutela dell’ambiente”.